A proposito dell’esame di stato

L’esame di stato (ex esame di maturità) è diventato un evento annuale, a mio parere, troppo enfatizzato, stabilmente inserito all’inizio di ogni estate nel palinsesto mediatico italiano, quando invece dovrebbe essere ricondotto ad una discreta, silenziosa serietà. Anche quest’anno le cose non sono andate diversamente, forse anche peggio, per via di alcune ‘sviste’ da parte dei funzionari ministeriali, incaricati dell’elaborazione delle ‘tracce’ per le prove scritte, che sono sottoposti ad una pressione eccessiva per quello che dovrebbe essere la normale conclusione di un iter di studi e non un ‘giudizio universale’ sul quale vegliano le onnipresenti associazioni dei consumatori.
Altrettanto immancabili sono le sentenze degli opinionisti e degli esperti di turno. Quest’anno però mi ha colpito ascoltare una voce autorevole, quella del prof. Odifreddi in una intervista rilasciata il 18 giugno al ‘Corriere della Sera’. In breve l’illustre studioso sostiene che il compito scritto di matematica è il più temuto dai maturandi perché in matematica, e nelle scienze in genere, non è possibile barare mentre nelle materie umanistiche si; che la matematica richiede uno studio costante; che il peso delle materie umanistiche nella scuola italiana è eccessivo, in particolare la presenza del latino al liceo scientifico è un anacronismo. L’intervista probabilmente esprime un’opinione estemporanea, data la levatura dello studioso, tuttavia ritengo opportuno spendere qualche parola di commento, perché qui si tratta di pregiudizi diffusi e perché la scuola italiana si trova da tempo in uno stato febbrile che è necessario curare e non aggravare.
Per quanto riguarda la costanza dello studio richiesta dalla matematica, non c’è dubbio che per ogni apprendimento intellettuale, qualunque sia l’oggetto, è necessario un impegno duraturo e costante , e le materie umanistiche non costituiscono per nulla un caso speciale.
Più difficile da sfatare è il pregiudizio che nel campo umanistico non ci sia nulla di stabilito, di fondato, che tutto sia una questione di interpretazione: in breve, che si possa dire tutto quello che si vuole. A parte il fatto che l’epistemologia contemporanea ha messo in luce che anche nella scienza, come in tutte le attività umane, la soggettività degli scienziati ha un qualche peso, l’importante è sottolineare che questa stessa soggettività che nell’ambito umanistico è creduta totalmente libera e fluida ha invece degli esiti precisi, stabilmente fondati, è soggetta anche qui, come nelle scienze, a vincoli e a regole. Il testo leopardiano, ad esempio, pur sottoposto a qualunque tortura interpretativa, non rivelerà mai una visione ottimistica del mondo e della vita; gli scritti kantiani sull’etica non potranno essere mai essere piegati ad una concezione utilitaristica e non rigoristica della morale; un testo letterario latino anche caricato d’interpretazione non potrà mai violare regole grammaticali, logiche, vincoli di realtà e di verosimiglianza, che poi è ciò che lo rende comprensibile. Ed è proprio l’incontro (e lo scontro: ecco perché il latino, come la matematica è difficile) con questi vincoli e regole che introduce alla comprensione della complessità del mondo (ecco perché il latino è ‘scientifico’).
E veniamo così all’ultimo punto. Quello che a me sembra anacronistico non è il latino, o la filosofia, al liceo scientifico, ma il riproporre ancora l’abusata contrapposizione tra le ‘due culture’, l’umanistica e la scientifica, e proclamare la superiorità dell’una o dell’altra, quando invece esse possono e debbono integrarsi in un insieme armonico e produttivo. La rigogliosa fioritura intellettuale, ed economica, della Germania tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 (purtroppo finalizzata come sappiamo) fu dovuta anche ad un sistema scolastico che combinava insieme, in un sistema ad alta potenza intellettuale, cultura classica greca e latina e scienza moderna. Werner Heisenberg, lo scienziato fondatore della meccanica quantistica è uno dei protagonisti di quella fioritura, in un suo libro (Natura e fisica moderna, Milano 1960) scrive un’apologia della cultura umanistica, indispensabile anche per lo scienziato.
Per questo penso che matematica e latino, al liceo scientifico, costituiscano un binomio eccellente: l’epistemologia contemporanea ha anche sottolineato che la traduzione da una lingua ad un’altra sia tutt’altro che un esercizio meccanico, ma implichi problemi di comprensione concettuale, di coerenza, di risultati funzionali, di ipotesi da verificare: ecco perché si potrebbe parlare non solo di traduzione ma anche di risoluzione di una versione di latino, esattamente come di un problema di matematica.

Salvatore Daniele

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