Viagrande. Cambiare o non cambiare… questo è il dilemma

Come si può essere coerenti con se stessi, dovendo esprimere il proprio voto per le elezioni comunali di Viagrande?

Ho vissuto dall’interno gli ultimi 20 anni, o forse più, della politica viagrandese, ma mai, come in questi ultimi mesi, ho avuto modo di constatare il pubblico interesse per le poltrone municipali, contrapposto all’interesse pubblico dei restanti concittadini.

A questi vent’anni corrispondono all’incirca altrettanti programmi elettorali, come sempre ottemperati non sempre a pieno, accompagnati da un fastidiosissimo immobilismo.

Agli innumerevoli millantatori di crediti rispondono gli ormai assodati giudizi popolari che recitano di incompetenza, di poca voglia di fare, per non parlare delle tante ipotetiche opportunità di facile guadagno senza troppi sforzi.

A contorno di tutto ciò una politica regionale e nazionale altrettanto assenti, che hanno letteralmente gettato sul lastrico le amministrazioni periferiche, che si ritrovano a fare i salti mortali per ridurre al minimo la brutta figura.

Ma allora viene da chiedersi il perché di tanto affollamento nelle piazze, alla ricerca di questo o quel probabile candidato, senza che si abbia realmente idea di ciò che si debba andare a fare, senza avere dei programmi veramente realizzabili, senza che si sappia realmente cosa proporre o negare in seno al consiglio comunale, dove, forse, non si è mai messo piede.

In tempi meno sospetti, qualcuno parlava di voglia di politica seria, di creazione di gruppi di lavoro, di poco interesse all’effettiva guida del paese senza che si avesse in mente, come primo obiettivo, il benessere sociale di ogni singolo cittadino.

Oggi, a breve distanza di tempo, ritrovo le stesse persone, impegnate, assieme a delle nuove, a sommare i conteggi futuristici di altrettanti delfini, lanciati nel grande oceano della disponibilità di consensi elettorali.

Dove sono finiti i buoni propositi, la voglia di mettersi in gioco senza nulla pretendere, il desiderio d’essere utili nel sociale, del combattere democraticamente le incapacità o le risposte vuote di significato di alcuni addetti, poco idonei ai ruoli istituzionali ricoperti…?

Un buon lavoro alla base avrebbe potuto coinvolgere molte più persone degne di ricoprire ruoli nei quali avrebbero potuto esprimere il meglio di sé, e molte altre avrebbero potuto diffondere, coi fatti, la dottrina del votare la persona giusta, piuttosto che l’inutile parente o amico che spunta fuori una volta ogni cinque anni.

E allora chi è meglio di chi? Il vecchio… o il nuovo che invecchia a tempo di record?

Sorge fortemente il dubbio se sia meglio lasciare questo mondo così com’è, o se si voglia adottare il gattopardismo del voler cambiare tutto… per non cambiare niente.

Mario Macrì




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