Galileo Galilei il primo scienziato moderno

Dopo la breve introduzione di Silvia Ventimiglia, della redazione del nostro giornale, lo storico e studioso Salvatore Daniele ha tratteggiato – con dovizia di particolari – la figura di Galileo Galilei, che a buon diritto e contro ogni altra rivendicazione, può essere definito il padre fondatore della scienza moderna e come tale protagonista di una autentica rivoluzione del pensiero. Dello scienziato è stata messa in rilievo soprattutto la sua battaglia culturale a favore della libertà della scienza, che deve essere autonoma da ogni autorità, esterna o interna ad essa. Correndo un grave rischio, Galilei ha sostenuto che la scienza non deve lasciarsi imporre da altri come vero ciò che solo essa è in grado di accertare, ma deve anche rifiutare che al suo interno talune concezioni vengano considerate verità inoppugnabili e vincolanti. Sottolineandone la sua posizione antidogmatica, ma non sterilmente antitradizionalista (perché persino in Aristotele c’è del buono), il relatore ha poi messo in evidenza come Galileo abbia offerto, pur non avendo scritto nulla di specifico sull’argomento, con l’esempio del suo lavoro e con note variamente sparse nelle sue opere, alcune indicazioni fondamentali, ancora oggi apprezzate e seguite dagli scienziati, sul metodo, o meglio sui metodi, che la scienza deve usare per raggiungere il suo scopo, che è la scoperta della verità sulla struttura del mondo. La verità per Galilei verte dunque sulla realtà, ma per ciò stesso è strettamente fattuale, non rimanda ad altro, non può entrare in contrasto con altre verità, morali o di fede. La verità è integralmente laica, indipendente dalla religione ma non in opposizione ad essa. Al riguardo, ha sottolineato il relatore, l’errore della Chiesa è stato, a suo tempo, di non averlo compreso. La scienza persegue il suo scopo mediante le ‘sensate esperienze’ e le ‘certe dimostrazioni’: le prime sono le osservazioni, famose quelle compiute da Galilei col telescopio, che smantellavano l’universo tolemaico e confermavano quello copernicano, ma soprattutto le misurazioni e gli esperimenti compiuti in laboratorio, sotto la guida delle seconde, che sono le teorie, matematicamente formulate, sulla struttura di un fenomeno, che vengono messe alla prova accertando se certe conseguenze esperibili tratte da esse si verificano o no. A differenza di quella di Aristotele, che era meramente osservativa, la scienza di Galilei è sperimentale. A conclusione si è osservato che la più grande innovazione metodologica dello scienziato italiano è stata, di conseguenza, l’uso consapevole dei ‘modelli’ del reale, ossia di  raffigurazioni approssimate dei fenomeni, in cui questi sono spogliati di tutte le caratteristiche sensibili, e ne vengono presi in considerazione solo gli aspetti misurabili e quindi oggettivi, ritenuti essenziali, che vengono legati fra loro da precise relazioni matematiche, tralasciando quelli considerati di ‘disturbo’. I modelli sono dunque strettamente veri solo sotto certe condizioni ideali, ma approssimati rispetto al reale, almeno quello fenomenico, in cui molti e vari fattori ne mascherano la struttura essenziale, che è matematica. Questa concezione, è stato sottolineato, segna la differenza fondamentale, fortemente discontinua, tra Aristotele e Galilei, ma si fonda anch’essa su una metafisica, quella che fa della matematica non solo lo strumento principe della conoscenza della natura, ma anche la sua struttura essenziale.
A seguire, un ampio dibattito – reso ancora più interessante dall’intervento del prof. Antonello Anzalone, illustre fisico dell’Università di Catania.

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