Il mio paese. "Personaggi di Viagrande" visti da Paolo Licciardello

“Personaggi di Viagrande” s’intitola l’ultimo libro di Paolo Licciardello ed infatti noi ci troviamo di fronte ad una galleria di ritratti, ciascuno caratterizzato dalla propria singola umanità, ma tutti accomunati da un’‘aria di famiglia’, facilmente riconoscibile da chi è nato e vissuto almeno un po’ alle falde del “Nonno brontolone”, l’Etna, quasi il capofamiglia di una schiera sterminata di nipoti. Persone e non personaggi sarebbe meglio dire, perché nessuno dei protagonisti è rappresentato come un ‘tipo’, nessuno è una ‘comparsa’, ma i ricordi del “bambino dagli occhi di giapponesino”, l’Autore, ci restituiscono i tratti di uomini e donne autentici, colti nella loro individualità. Certamente il bambino è diventato adulto, ricordare è anche rielaborare, il gusto del racconto fa la sua parte, ma quelle vite, quelle parole e gesti su cui si esercita la penna dell’Autore, talvolta descrittiva, talvolta ironica e divertita, ma sempre intrisa di simpatia e di affetto, ci rimandano ad un vissuto umano veritiero. D’altra parte quelle persone non le troveresti facilmente in un luogo qualsiasi: tutte insieme fanno parte come di un ‘io collettivo’ che ti è familiare come un parente o un caro amico e che riconosceresti ovunque. Vedendo una di queste persone, subito diresti: “Quello è siciliano”.

Quel luogo unico, dove vivono le persone che popolano questo libro, è “il mio paese”. L’alta frequenza con cui ricorre questo ‘sintagma’, come direbbero i linguisti, si giustifica con l’essere ‘il paese’ il protagonista presente in ciascun racconto di cui il libro si compone e perché tra lui e l’Autore vige un rapporto di reciproca appartenenza. Ed egli non perde nessuna occasione per dare vita alle vie, agli angoli, alle case, alle chiese, descrivendone con precisione l’ubicazione, la struttura, i particolari, i materiali di costruzione. Le feste e i riti sono materia di speciale attenzione, nei gesti e negli oggetti concreti e nei rapporti sociali che li costituiscono. Usi e costumi sono descritti da un lato con l’obiettività di uno studioso, dall’altro con la partecipazione di chi non può sentirsene distaccato: forse questo è il maggior pregio del libro. Ma il ‘mio paese’ è anche un luogo di persone industriose che lavorano e s’impegnano per vivere un’esistenza dignitosa, pur a costo di duri sacrifici. Contadini, artigiani, commercianti, ‘sensali’, i pochi impiegati, tutti si danno da fare per se stessi e per portare il loro contributo, anche modesto, alla rinascita del paese piegato dalla recente guerra. Ma non trascurano di certo le prove serali di musica per poter suonare degnamente nella rinomata banda del ‘mio paese’. Altri tempi…

Ed infatti sono i decenni del secondo dopoguerra, anni difficili ma fecondi. Ed è proprio ‘questo’ tempo un altro protagonista del libro. Ad esso l’Autore si rivolge con nostalgia, rievocandone, non senza rimpianto, l’aria di austera felicità che si respirava, quando bastava ciò che si aveva, la schiettezza dei rapporti umani, quando era sufficiente una stretta di mano per concludere un affare. A quel tempo “la meravigliosa piazza grande del mio paese era simile ad una bomboniera” perché non era stato ancora abbattuto il vecchio edificio che la chiudeva, “proprio di fronte alla maestosa facciata della Chiesa Madre”, per aprire una moderna via: l’Autore parla di un atto scellerato, addirittura uno stupro. Non ama molto i tempi moderni il nostro Autore: il benessere è stato pagato con la perdita della semplicità, con l’ansia di una vita sempre più complicata e soprattutto con una generale decadenza dei valori etici e religiosi.

Questo non è un libro di storia né di cronaca, ma una raccolta di racconti, lieti, tristi e qualcuno condito con una dose di sana sensualità. Ma può un autore siciliano non essere un ‘verista’? Neanche il nostro Autore si sottrae a questa funzione da assolvere e non ci fa mancare una descrizione precisa delle condizioni economiche, dei rapporti e delle convenzioni sociali, della mentalità, talvolta ancora troppo chiusa, arcaica, dell’epoca. Ecco perché in questo libro non ci sono ‘comparse’: ogni persona che appare nei racconti è necessaria per delineare un quadro completo e realistico. E la realtà del ‘mio paese’ è fatta di onesti e laboriosi lavoratori, di possidenti sfaccendati in cerca di avventure, che per ‘amore’ perdono le loro proprietà, figure reali nel ceto nobiliare e borghese siciliano, di donne di virtù esemplare e donne ben fornite dalla natura di altre ‘qualità’ che usano, là dove non arriva l’onesto lavoro, per la loro ascesa sociale, di uomini furbi e intraprendenti che sfruttano al meglio le occasioni pur senza nuocere a nessuno, di preti che adempiono egregiamente al loro ministero ed altri con qualche ‘debolezza’ da nascondere: ma tutto, prima o poi, si viene a sapere nel grande palcoscenico della ‘commedia umana’.

E non si può non concludere con qualche parola sul “bambino dagli occhi di giapponesino” cui dobbiamo questo libro. Egli ha voluto condividere con noi i suoi ricordi e le sue esperienze, ci ha fatto partecipe del piacere della ‘reminiscenza’, ma manda anche un messaggio ai giovani che leggeranno le sue righe: siate attenti e curiosi, come me, del mondo, imparate sempre qualcosa da esso e dalle persone che lo abitano, crescete lungo la via dei buoni principi, anche se avrete nella vita delle disillusioni, così diventerete uomini saldi e maturi, degni del ‘mio paese’.

Salvatore Daniele

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