«Il medico, la "pietas" e sistema che pensa solo al profitto»

Infandum, regina, iubes renovare dolorem…“. “Mi chiedi, o regina, di rinnovare un dolore indicibile…“.
Con queste sofferte parole Enea inizia il racconto del tragico incendio di Troia e della drammatica fuga dalla città in fiamme. Enea ha un vecchio padre, Anchise, ed al momento di lasciare Troia non partirebbe se il vecchio non acconsentisse a seguirlo; nelle arti figurative più volte viene rappresentato Enea in fuga, con sulle spalle l’anziano genitore. Fu dopo la lettura del II Libro dell’Eneide che la professoressa De Gaetano ci parlò della “pietas” che aleggia su tutto il poema virgiliano.
Avevo solo quattordici anni, troppo giovane per capire: ricordo però perfettamente che, parlando, la professoressa si commosse. Ci spiegò che la “pietas” non è solo una virtù, ma anche un sentimento, l’amore doveroso, l’affetto filiale (pietas in patrem), il rispetto per gli anziani e per la loro saggezza. Con il senno del poi ritengo che a commuoverla fosse stato il pensiero dell’anziano padre che del liceo Cutelli era stato preside, e al quale aveva dedicato e dedicava tutta se stessa.
Sarà l’inconsapevole ed irrealizzabile desiderio di ritornare agli anni della giovinezza, ma da un po’ di tempo a questa parte non posso fare a meno di pensare al “pius Aeneas” e alla lezione della professoressa De Gaetano ogni volta che, come medico, mi trovo al capezzale di pazienti molto avanti negli anni e in cattive condizioni di salute.
Pazienti non raramente definiti, in uno spregevole gergo medico, “catorci” o “rottami” e dei quali la attuale politica sanitaria vorrebbe si facesse appunto la rottamazione. Che strana contraddizione: da una parte la ricerca medica tende ad allungare la vita dell’uomo; dall’altro il moderno sistema sanitario (si può chiamare così?) pretenderebbe di lasciare che nell’anziano la malattia segua la sua storia naturale (segua cioè la sua evoluzione in assenza di cure).
Gli ospedali, per definizione luoghi di cura, sono stati trasformati in Aziende, per definizione organismi economici rivolti al raggiungimento del profitto. Oggi nelle corsie si bada non tanto a curare i malati quanto a limitare al massimo la durata del ricovero per non “andare in passivo” con il Drg che, per i non addetti ai lavori, è la somma che il servizio sanitario nazionale paga per la cura di una determinata malattia. Purtroppo al giovane medico specializzando viene frequentemente inculcata l’idea del Drg “vantaggioso” e di quello “in perdita“; mi pare ovvio che la cura di un anziano, per la coesistenza tutt’altro che rara di più malattie, sia spesso molto costosa e non adeguatamente pagata dal famigerato Drg. E oggi non è raro, durante la visita in corsia, sentir chiedere di un malato non come stia, ma da quanto tempo sia ricoverato, cioè quanto “stia costando“; quasi che lo stare in ospedale fosse una villeggiatura. Con grandi sacrifici mia madre mi fece frequentare il liceo classico Cutelli, e non un Istituo per ragionieri (con il massimo rispetto per gli stessi). Lì ebbi la fortuna di essere allievo di Docenti (la D maiuscola è d’obbligo) che, come la professoressa De Gaetano, mi impartirono insegnamenti allora non ben comprensibili, ma che nella maturità riaffiorano prepotentemente. E negli anni della mia formazione universitaria ebbi Maestri di Clinica (ancora due maiuscole obbligatorie) interessati esclusivamente alla cura del malato. Ritengo sia arrivato il momento di cambiare radicalmente le leggi che oggi regolano il Servizio Sanitario Nazionale, e di restituire ai medici il loro ruolo esclusivo che è quello di curare l’uomo indipendentemente dalle variabili che lo connotano (ricchezza, povertà, razza, età etc.) e dal costo della cura. La Sanità certamente costa, ed è impensabile che il costo non lieviti con il progresso tecnologico: molte malattie prima incurabili ora lo sono radicalmente. In altre, le cure consentono una lunga sopravvivenza e una buona qualità di vita. E tutti siamo d’accordo su un punto: la salute è il bene più prezioso, va comunque tutelata, e per essa si può e si deve spendere.
Purché si spenda bene. I signori politici sappiano che il vero risparmio lo si ottiene mettendo ai posti giusti gli uomini giusti, indipendentemente dalle loro idee e dal loro colore politico. La frequentazione delle segreterie degli onorevoli non forma i medici, a meno che queste segreterie non siano attrezzate di biblioteche scientifiche “on line” per consentire al sanitario che fa anticamera, spesso per ore pur di far carriera, di acculturarsi.
Perché è nella preparazione, nel continuo aggiornamento, nella professionalità che bisogna investire se si vuole avere una Sanità nello stesso tempo efficiente e contenuta nei costi. Sono certo che moltissimi Colleghi la pensano come me, e desidererei tanto che facessero sentire la loro voce: sarò un idealista, ma penso che un cambiamento vero e non “gattopardiano” si possa realizzare.
Concludo pensando a quel vecchietto che conosco da bambino, ora ricoverato nella corsia dove presto servizio: è poco cosciente, malandato e credo abbia poco da vivere. Eppure una volta era pieno di vita. Guardandolo vorrei poter essere il Padreterno per restituirgli salute (alla faccia del Drg e dei falsi risparmi del servizio sanitario nazionale) e giovinezza, ma non posso. E allora penso ad Enea che porta sulle spalle il vecchio Anchise, e mi chiedo se non sia mio dovere emularlo portando figurativamente sulle mie proprie spalle parte delle sofferenze degli anziani che curo. Con la assoluta certezza che in ogni angolo di questa povera Italia molti, moltissimi Colleghi senza stellette e galloni, oscuro esercito di Enea, lo hanno fatto nel passato e continuano a farlo onorando la professione medica.

(font: La Sicilia – Giuseppe Condorelli, 15 luglio 2009)

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